Non vogliateneme, ma devo scrivere: non fossaltro che sto preparando l'esame di letteratura italiana.
Non intendo dare un compendio delle mie conoscenze, quanto mai esigue, ma condividere con voi delle riflessioni, e sentimenti, che da un po' di tempo a questa parte mi tartassano nello studio.
Dante.
Chi era costui? come potrebbe dire Don Abbondio...chi era? io non potrei mai spegarlo ma, davanti alla sua Commedia, non posso non vibrare di ammirazione e reverenza immensa.
Non so se a voi sia mai capitato ma, leggendo i versi della sua disperazione di fronte alle Fiere, ho avuto l'impressione d'aver davanti uno scritto in qualoche modo profetico, veritiero, più che mai moderno, vivo, palpitante, molto più di qualsiasi altra lirica esistenzialista, ermetica, eccetera eccetera.
"Ed ecco, quasi al cominciar de l'erta,
una lonza leggiera e presta molto,
che di pel macolato era coverta;
e non mi si partia dinanzi al volto,
anzi 'mpediva tanto il mio cammino,
ch'i' fui per ritornar più volte vòlto.
Temp' era dal principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
ma non sì che paura non mi desse
la vista che m'apparve d'un leone.
Questi parea che contra me venisse
con la test' alta e con rabbiosa fame,
sì che parea che l'aere ne tremesse.
Ed una lupa, che di tutte brame
sembiava carca ne la sua magrezza,
e molte genti fé già viver grame,
questa mi porse tanto di gravezza
con la paura ch'uscia di sua vista,
ch'io perdei la speranza de l'altezza.
E qual è quei che volontieri acquista,
e giugne 'l tempo che perder lo face,
che 'n tutti suoi pensier piange e s'attrista;
tal mi fece la bestia sanza pace,
che, venendomi 'ncontro, a poco a poco
mi ripigneva là dove 'l sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo tempo parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
-Miserere di me-, gridai a lui,
-qual chi tu sii, od ombra od omo certo!-."
(Divina Commedia. Inferno 31-66)
Ecco Dante agens, l'uomo nel suo Viaggio: scala la sua salita a poco a poco, il fine di raggiunger la cima di quel monte illuminato, un faro nella oscurità del dì.
In realtà egli è già uscito dalla "selva oscura": già è fuor dallo stato di fruizione del peccato, ha cominciato, con le sue sole forze, il processo di redenzione e salvezza.
Salvezza in senso fisico, morale, spirituale: non è forse ciò che tutti gli esseri d'ogni tempo bramano? Ma "Il piè fermo era il più basso", l'appoggio è il piede sinistro.
Avete mai visto il David di Michelangelo? un messaggio è nascostonella sua postura: la parte sinistra è quella esposta naturalmente al male e al peccato; ugualmente la gamba sinistra di Dante, che arranca e rimane indietro, è metafora dell'attaccamento alla realtà terrena inficiata dal vizio e dalla corruzione.
Ma continua, faticosamente, la scalata alla salvezza, ma l'Animale gli sbarra la strada.
La prima Metamorfosi delle Tre Fiere, allegoria inversa della Trinità, richiamo anzitempo al triplice volto di Lucifero.
La Lonza dalla gaetta pelle, maculata, leggiera e molto veloce, affatto non è, come ai licei ci insegnavano, la lussuriabensì è rchiamo a qualcosa di molto più articolato, qualcosa che è inscindibile al significato portato dalle altre tre fiere.
Mutazione, dunque, animale: la lince, o lonza, bella e agile, è l'attaccamento gaudente al mondo, l'incontinenza, il godere spensierati e senza misura, eppure non è essa che provoca tremor e terrore in Dante bensì la terza bestia che è preceduta dalla seconda: il Lione.
Essendo Dante uscito con le sue forze dalla selva, la supera facilmente, anche poichè è rincuorato dall'ora e dalla disposizione delle stelle che presagiscono un lieto fine del suo peregrinare, eppure, come sew tutto d'un tratto la prima fosse scomparrsa, ecco apparire la Seconda Bestia la quale blocca per un attimo il Nostro.
Il leone superbo e orgoglioso: niente altri è superbia, egiosmo, postura dello spirito e della mente che, nell'esistenza comune ed universale, di fronte all'inevitabile e alla chiarezza, perdura nel peccato e nella sua ondizion gridando "Io".
Fermiamoci un attimo: Lonza, attaccamento, Lione, egoismo; è chiaro come questa escalation quasi totemica sia perfettamente logica in sé e per sé:il godere parassitario del creato porta all'egiosmo e alla rottura con la comunità, con il mondo, con lo spirito; l'annaspare insensato, illogico, spensieratonei "vizio" che supera la misura, macchia l'uomo di hybris . Trasgredisce i limiti dati dal Dioi agli uomini; davanti alla rovina e alla colpa che ne consegue, l'uomo rifiuta una esame critico delle sue azioni e de modus vivendi alzando vanamente fiero la fronte, rabbioso e aggressiovo...eccolo trasformarsi in Leone.
Lonza,Lione, sino alla Lupa: la punta massima della degradazione morale e fisica e spirituale, la nuova fase.
A mio parere v'è quasi uno sviluppo spiraliforme, quasi hegeliano, in questo Canto che si conclude nel nuovo e più profondo superamento, della prima figura attrraverso la seconda, in quella della Lupa: "di tutte brame sembiava carca nella sua magrezza,/emolte genti fe' già viver grame", "bestia sanza pace" " che venendomi incontro a poco a poco/ mi ripigneva là dove il sol tace".
Il Gaudio spropositato, da Orgoglio cieco e superbo, diviene ancor più subdolo, ferino, impietoso; l'uomo, con la sua nuova coscienza infelice, senza alcuna pace arranca come un lupo vorace, corrotto nel corpo e nelle spirito, in cerca di continua preda, sempre famelico,sempre affannato, sempre non saziandosi, sempre a scapito dei suoi fratelli, di ogni gente, di ogni nazione....di ogni tempo.
Non è solo simbolo allegorico la Lupa, di cupidigia: è il Peccato conscio di sè, che pecca volendo farlo, che, consciamente, perpetra orori su orrori...non senza motivo Dante collega la Lupa alla Brama di ricchezze ( "peltro") in senso lato ovvero denaro, onorificenze, lusinghe, lusso,beni.
La lUpa non si può superare: è troppo forte, troppo potente, troppo sprofondata nell'errore,; Dante può solo URLARE DI TERRORE E ORRORE ALLA SUA VISTA E TORNARE INDIETRO CORRENDO.
"MISERERE DI ME", chiede aiuto in tutta la sua disperazione, sta tornando nella fitta selva!
ma...una figura appare, un'ombra,un barlume di speranza: lo "spirito magno" Virgilio, la Ratio sana e forte, unica possibilità per sfuggir.
Ecco che il Péoeta verrà mosso in un tremendo iter spirituale (che è anche fisico!) inoltrandosi nel peccato, sino nelle viscere delll'inferno, sin dentro il Male....per poi risalire lentamente, di volta in volta, dal Purgatorio al Paradiso ove, nell'ultimo canto, le parole non basteranno più a dar motivo e visione dell Figura divina.
................E pensare che, molti secoli dopo, Baudelaire nei "Fiori del Male" tenterà una riscossa con "un viagio di andata e ritorno all'inferno"! Quanto Dante ha significato nella letteratura e non solo? Molto, infinitamente, forse troppo.
Ma come non dare onore al Letterato, il primo e unico Umanista? Nessuno dopo di lui, persino il Petrarca, riuscira ad amare tanto l'uomo e il suo Destino; con Dante inizia e finisce il vero Umanesimo che sarà poi soppiantato da quello freddo, letterario, filologico del Petrarca, di Boccaccio e degli Umanisti fiorentini; sepolcri imbiancati.
Quante Lupe ancor oggi bramano? quanti Lioni, quante Lonze? quante genti vivon grame a causa del peccato di altri? quante genti scontano sulla propia pelle, facendosene carico involontariamente come innumerevoli Cristi, gli effetti e le conseguenze del Peccato!
Mi fermerò qui, non vi annoierò nè tartasserò oltre.
Pensate ogni tanto a questo Poeta, pensate ai nostri giorni, alle epoche passate, alla vostra persona...vorrei lasciarvi con una poesia, una poesia di Primo levi...pensate....e tremate...spero che un "MISERERE DI ME!" esploda dalla laringe fuor dalla vostra bocca!
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca
I vostri nati torcano il viso da voi.
[da Se questo è un uomo, Einaudi, 1958]
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